Al primo tentativo di ripartire verso casa, Danilo imballò il motore. Spense l'auto, una costosa berlina scelta con grande impegno dalla beneamata consorte, posò la testa sul volante, tendendosi in avanti contro la cintura, e respirò lentamente.
In effetti, a tutti gli effetti, si era imballato anche lui.
Riaccese prudentemente il motore, dando gas con dolcezza, e gli venne fatto di pensare che ra un vero peccato non poter fare la stessa cosa con se stesso. La puzza della nafta gli arrivò alle narici, stroncando sul nascere ogni ulteriore riflessione di stampo introspettivo, e lui partì verso casa.
Non aveva neanche tanta voglia di andarci, a casa, riflettè, stupendosene. Era strano, di solito non c'era cosa al mondo che lui desiderasse di più della relativa quiete della sua tana, dove, rincantucciato in una vecchia poltrona ormai sfondata, si appisolava pacificamente di fronte a qualche sciocchezza televisiva. Quel giorno, invece, gli sembrava di essere troppo carico, troppo pieno di vita, di energia, per poterlo fare. Aveva la netta impressione che, se si fosse rinchiuso in quella che sua moglie chiamava 'la stanza del televisore', sarebbe esploso.
Agendo sovrappensiero, accese l'autoradio e, gradualmene, quasi furtivamente, alzò il volume. La radio stava dando una canzone popolare, che aveva sentito centinaia di volte quasi suo malgrado, ma in quel momento gli sembrò bella, accattivante ed allegra. Non c'era nulla di particolare a cui pensasse, ma, quando arrivò il momento di svoltare verso casa, esitò appena per un secondo, col piede che si staccava dall'acceleratore, prima di ridare gas e andare diritto.
Il sole era basso sulla linea dell'orizzonte e Danilo canticchiava, battendo con le dita sul volante, a tempo.
I meccanismi e gli istinti della sua mente, affinati da anni al gioco minuzioso di evitargli ogni possibile seccatura, sgradevolezza o aperto confronto, semplicemente non lasciavano passare alcun pensiero ed alcuna consapevolezza. A chiederglielo, avrebbe risposto che stava solo facendo un giretto, proprio così, appena cinque minuti prima di andare a casa, per sentire un paio di canzoni in macchina, dato che a sua moglie non piaceva avere la musica accesa in casa. A chiederglielo, in ogni caso, non c'era nessuno, e quei cinque minuti diventarono dieci, e poi quindici, e i chilometri si sommarono ai chilometri, allontanandolo da casa, inavvertiti.
Arrivò fin quasi al paese vicino, prima che la suoneria del cellulare lo interrompesse, strappandolo dal suo stato di grazia con la forza di uno schiaffo in pieno viso. Gli fu sufficiente quel suono, senza che ci fosse alcun bisogno di controllare chi lo stesse chiamando, per innescare una drastica reazione. Come quando, da bambino, veniva colto, come sempre accadeva, in flagrante durante una delle sue numerose infrazioni, gli si serrò lo stomaco in una morsa e si sentì avvampare.
Allungò la mano alla cieca sul sedile del passeggero e contò mentalmente gli squilli. Tre. Ancora accettabile, stando alla sua esperienza. Prese un respiro e controllò il tono di voce, per dargli un'apparenza tranquilla e disinvolta.
"Amore mio." Di sse nel ricevitore appena ebbe accettato la chiamata. La voce dall'altra parte suonava gravida di una preoccupazione appiccicosa, avvinghiante.
"Dove sei?"
"Sono..." Danilo guardò velocemente attraverso il parabrezza ai cartelli che segnavano le uscite della statale. Già, dove diavolo era, in fin dei conti? "...a cinque minuti da casa, tesoro. Sto arrivando, nessun problema." Gli giunse all'orecchio un sospiro di sopportazione.
"È tardi." si lamentò perentoriamente sua moglie.
"Amore, sto arrivando. Calma, non c'è problema. Ho solo dovuto restare un attimino di più al lavoro. Tutto bene."
"Vieni presto?"
"Si." Confermò lui, sentendosi infastidito, come se venisse stretto troppo forte e troppo a lungo e, subito dopo, come per riflesso, vergognandosi di ciò che provava.
"Vieni subito?" Chiese ancora lei.
"Sto arrivando." Ribadì Danilo.
"Fai presto, va bene? Vieni a casa." Ripetè ancora una volta la voce di sua moglie. Poi la comunicazione si interruppe, senza lasciare tempo a repliche o saluti.
Danilo sospirò sentendosi, contemporaneamente, da un lato esasperato e dall'altro chiuso in una morsa di cupa riprovazione pr la sua stessa esasperazione. Prese il primo svincolo utile e rientrò sulla statale dopo uno stretto giro, riprendendo il senso di marcia che l'avrebbe riportato a casa.
La sensazione di leggerezza, quasi di svagato trionfo, che lo aveva avvolto durante il suo abortito tentativo di fuga mentale si era bruscamente spento durante la conversazione con la moglie e spense la musica con un gesto distratto e stizzoso, colpendo il pulsante con eccessiva violenza.
L'aria nell'abitacolo era fin troppo calda e il tessuto dei pantaloni sembrava pesargli fisicamente cotro le gambe che per l'intera giornata non avevano dato segno di avvertire la sua esistenza.
Rientrò, dunque, a casa, subì silenziosamente e di buon grado il gelo sepolcrale che lo attendeva e si sedette per trangugiare meccanicamente quello che gli venne posto di fronte per cena.
Mentre masticava, inghiottiva e di nuovo riempiva la bocca, senza sentire nè sapore nè consistenza di quel che aveva nel piatto, si ritrovò a chiedersi se la paziente incognita si fosse svegliata.
Rimproverò a se stesso di non aver lasciato detto di chiamarlo, in quel caso. Voleva essere lì, e subito, per una rapida valutazione dei danni. Non escludeva la possibilità che si rivelasse necessaria una seconda operazione, dopotutto. E poi, per la miseria, l'aveva curata lui, quella lì, era stato lui a parlarle, a passarci tutto il tempo, lui, e nessun altro, perciò era lui che doveva vedere, quando si svegliava. Era lui che doveva ringraziare, se fosse riuscita ad articolare una parola, non il primo cretino che si trovava di turno e non l'aveva neanche mai guardata in faccia.
Dopo cena, decise, avrebbe telefonato per avvisare che desiderava essere chiamato, se lei avesse dato segni di imminente risveglio. Ecco, cos'avrebbe fatto.
Dalla sua destra provenne un suono, una via di mezzo fra un sospiro e un mugolio di disapprovazione, che interruppe il corso dei suoi pensieri.
"Hai detto qualcosa, amore?" chiese a sua moglie, improvvisamente molto consapevole di sìdove fosse e con chi.
"No, Danilo, del resto, anche se l'avessi detto, a che pro? A che pro, dirti qualcosa, se tu evidentemente non hai nessuna intenzione di ascoltarmi, o parlarmi, o, per quello che vale, guardarmi in faccia. Del resto, io sono solo quella che ti stira le camicie, giusto?"
"Dai, Matilde..." Lei posò ostentatamente la forchetta sul piatto e lo allontanò da sè.
"No, no. È inutile, non voglio litigare con te. Non ti darò un pretesto per portarmi a litigare, oltretutto."
"ma, scusa..."
"No, Danilo!" Ribadì lei alzandosi da tavola. "solo Dio sa cosa mi fai sopportare, non ho intenzione di sopportare anche i tuoi sfoghi di nervi." Gli disse, facendo cadere le parole in accenti liquidi, che suggerivano un piano trattenuto dalla pura forza della dignità.
Lasciò la tavola e, con essa, l'onere di sparecchiare e rigovernare.
Poco dopo, con il ronzio monotono della lavastoviglie in funzione a fargli da sottofondo, Danilo chiamò in reparto.